La Spada nella Roccia - È finita
Non c'è un modo giusto per dirlo, quindi ne scelgo uno a caso: è finita. Il mondo che conoscevamo non esiste più. Da qui in poi è tutta terra sconosciuta.
Buon giorno,
come state?
Oggi, sinceramente, non so bene da che parte cominciare a scrivere questa newsletter.
Non c’è un modo giusto per dirlo, quindi lo dirò nel modo che mi viene: è finita.
O se non è finita, sta finendo. È questione di settimane, forse di mesi. Ma ci siamo.
L’ordine mondiale che si era costituito dopo la seconda Guerra Mondiale, quello al quale ci eravamo abituati a pensare come un dato di fatto, quello nelle cui comode libertà e garanzie ci eravamo permessi il lusso di urlare alla dittatura ogni volta che qualche governo non faceva esattamente e alla lettera quello che avremmo voluto facesse, sta finendo.
Presto, tra qualche mese al massimo, a meno di sorprese, di ordine mondiale ce ne sarà un altro. Non so se migliore (ne dubito), non so se peggiore (probabile), ma con ogni probabiltà diverso.
E la cosa divertente è che questo ordine mondiale in via di disfacimento, ci ha messo decenni e svariate guerre per formarsi. E ora sta venendo giù, come un castello di sabbia, trasformato in polvere in poco meno di un mese. E quello che è stato costruito da centinaia di governi sta venendo buttato giù da un uomo solo e dalla sua corte, cioè da Donald Trump e dal suo giro di adepti al Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca.
Ora: se qualcuno di voi sta pensando “Mamma mia, Lucia’, che pesantezza che sei”, temo di dovervi smentire.
Perché è vero, tutto può succedere, tutto può cambiare di nuovo all’improvviso, e spesso la notte non è nera come sembra. Ma il mio compito in queste righe, il patto tacito che c’è tra noi, è quello di leggere i fatti per quelli che sono. Non per quelli che vorremmo fossero.
Nemmeno sperare nei miracoli è compito di queste righe.
La scorsa settimana, se ricordate, mi ero sforzata di scrivere una newsletter che fosse solo un elenco di fatti. No opinioni, no letture mie. Perché, dicevo, stanno succedendo troppe cose e troppo velocemente. Occorrono tempo e lucidità per metabolizzarle e capirle, dicevo.
Bene. Lo penso ancora. Però è anche vero che, nel giro di una settimana, tutte le palle sono andate in buca e il quadro si è fatto chiaro. Le ipotesi si sono trasformate in fatti. E sarebbe da sciocchi non prenderne atto, non leggerli per quello che sono, pensare ‘ma no, dai, tanto alla fine non succede niente’.
Non succede niente un par di ciufoli. Perché, nella vita, nella mia, nella vostra e in quella degli Stati le parole hanno conseguenze, le azioni hanno conseguenze e, ovviamente, pure le elezioni hanno conseguenze.
Negli ultimi giorni sono successe tante cose. Ognuna delle quali avrà una conseguenza piuttosto inevitabile.
La prima: a Ryad, in Arabia Saudita, si sono incontrati gli emissari di Stati Uniti e Russia per parlare di Ucraina, senza che quest’ultima, sul cui terreno e per il cui territorio, si combatte da tre anni, sia stata invitata. E questo ‘non invito’ significa solo una cosa: Russia e USA si sono incontrati per spartirsela. Poi magari non sarà proprio questa la parola che useranno, ne troveranno una più gentile, ma la sostanza è questa: alla Russia la parte orientale, agli Stati Uniti quella occidentale. Tanto vero che, contestualmente, a questo incontro di pace tra Stati Uniti e Russia, senza Ucraina (che è un po’ come se voi steste divorziando e i termini del divorzio li decidesse vostro marito, o vostra moglie, con il vicino di casa) gli Stati Uniti hanno presentato un accordo, all’Ucraina, chiedendo di cedere loro il 50% delle terre rare del Paese, senza specificare in cambio di cosa (Armi? Soldi? Protezione? Patate? Non si sa).
L’esito di queste trattative è, a meno di sorprese, già avviato e piuttosto scontato: Stati Uniti e Russia, prima o poi, troveranno un accordo e gli Stati Uniti diranno che per loro la faccenda è conclusa e dunque non li riguarda più. Se l’Ucraina vuole continuare a combattere, faccia pure, si accomodi. Ma senza di loro. E se l’Europa vuole continuare a darle una mano, faccia pure. Ma di nuovo, senza di loro.
Non ci vuole la sfera di cristallo per vedere che le cose stanno andando in questa direzione.
Poi, oh, domani mattina Trump può svegliarsi e cambiare idea. Perché con quell’uomo lì tutto può essere. Ma al momento non abbiamo elementi per dirlo. Sia perché se c’è una cosa su cui Trump non ha mai cambiato idea è Vladimir Putin, che gli piace parecchio e a cui lui piace parecchio (recuperatevi i vecchi articoli sul Russia Gate, ossia sull’inchiesta giudiziaria che ha provato come e quanto la Russia abbia brigato per far vincere le elezioni a Trump nel 2016). Sia perché negli ultimi giorni Trump ha preso a parlare come il più fedele dei putiniani.
Nel dettaglio Trump ha detto, nel giro di poche ore, quattro balle una più grossa dell’altra:
è stata l’Ucraina a iniziare la guerra (non insulterò la vostra intelligenza mettendomi a dire perché non è vero);
gli Stati Uniti hanno speso 350 miliardi in assistenza militare all’Ucraina (nemmeno questo è vero: ne hanno spesi 120 in tre anni, il che significa lo 0,1% del loro Pil);
gli Stati Uniti hanno speso in supporto all’Ucraina più dell’Europa (non è vero: ha speso di più l’Europa che in tutto ha stanziato circa 150 miliardi in tre anni. La Germania, che è uno dei Paesi che ha speso di più, ha investito per la difesa ucraina, lo 0,2% del Pil. L’Italia lo 0,1%); (se volete saperne di più l’Istituto Kiel spiega tutto molto bene qui)
Zelenski è un dittatore il cui indice di popolarità è al 4%: non è vero per due ragioni, la prima è che è vero che in Ucraina si sarebbe dovuto votare un anno fa, ma la Costituzione Ucraina prevede che, in caso di guerra, le elezioni possano essere rinviate; i sondaggi ucraini, gli unici affidabili in questo caso, danno la popolarità di Zelenski al 57%.
Ma al di là delle balle puntuali, che un po’ chi se ne frega, quello su cui vorrei concentraste la vostra attenzione è il disegno generale: il disegno è quello di spostare l’allineamento americano dall’UE alla Russia. Se negli ultimi 80 anni e fino a settimana scorsa Stati Uniti e UE erano alleati, ora non lo sono più. E se negli ultimi 80 anni e fino a settimana scorsa USA e Russia erano nemici (a parte un decennio circa di quasi amicizia), ora non lo sono più. Anzi: si preparano a diventare alleati.
Sì, ma alleati contro chi? Indovinate un po’. Comincia per “E” e finisce con “uropa”.
La seconda cosa importantissima che è successa, più o meno nelle stesse ore, è stato il vertice di Parigi. All’incontro erano presenti 2 vertici su 3 delle istituzioni europee (Ursula Von der Leyen, per la Commissione, Antonio Costa, per il Consiglio, nessuno per il Parlamento), 7 Paesi su 27 tra quelli Europei (Francia, Germania, Italia, Spagna, Polonia, Danimarca, Belgio), il Regno Unito (ancora tu?) e Mark Rutte, segretario generale della NATO.
Il vertice è stato convocato per prendere atto del fatto che dicevamo prima: l’allineamento politico e militare tra Stati Uniti e Unione Europea è finito. E presto potrebbe nascerne uno nuovo in cui Russia e Stati Uniti si uniscono per aggredire l’Unione Europea, forse commercialmente, forse politicamente (cosa per altro già in corso), forse persino militarmente.
Quindi occorre agire di conseguenza. Il che significa creando un esercito europeo degno di questo nome. Cosa che per ora non c’è, ma che ci dovrà essere presto. Molto presto. E che per esserci avrà bisogno di soldi.
Pochi giorni fa, l’agenzia di rating Standard & Poors ha pubblicato un report nel quale dice che nessun Paese europeo è in grado di sostenere la spesa che potrebbe rendersi necessaria (che potrebbe andare da 200 miliardi l’anno a circa 800, a seconda che si decida di spendere in difesa il 2 o il 5% del Pil). Questo perché per qualunque cassa pubblica, di qualunque Paese, una spesa del genere si tradurrebbe o in draconiani tagli di spesa pubblica, o in draconiane tasse. Quindi non si può fare.
Quello che si può fare è debito comune per finanziare tutta questa roba.
Ma a questo punto c’è un problema: il debito comune, per essere europeo, dovrebbe essere approvato all’unanimità. E stiamo freschi.
Quindi, volendo, c’è un’altra possibilità: che alcuni Paesi agiscano per conto proprio e sottoscrivano loro questo debito comune (nulla lo vieta), magari, ipotizza Standard & Poors, insieme al Regno Unito.
E questo ci porta dritti alla seconda cosa per cui il vertice di Parigi è importante. Ma forse ci siete già arrivati da soli.
Il vertice di Parigi si scrive “Vertice”, ma si legge inizio di una fase nuova dell’UE.
Una fase nuova in cui si prende atto che l’Unione Europea a 27, così com’è, non funziona: troppo lenta, troppo complessa, troppo bloccata dalla questione dell’unanimità. Troppo democratica, in pratica. E quindi al suo posto, in casi di emergenza come questo, occorre creare un’Europa modulare, più veloce, che si possa montare o smontare, a seconda delle esigenze e del tempo che si ha a disposizione. Lunedì a Parigi erano in 7; domani da un’altra parte potrebbero essere in 10 o in 4, chissà. Un’Europa a moduli che, se necessario (e in questo caso lo è) possa anche riportare al tavolo quei pirla (scusate eh) degli inglesi, e possa parlare a tu per tu con gli altri soggetti internazionali senza chiedere il permesso a tutti quanti. E magari, chissà, possa sottoscrivere debito comune per finanziare la difesa.
Questa cosa, per quanto (anzi: proprio perché) più efficace significa una cosa sola: e cioè che ci siamo sbagliati. Che è dagli anni ‘50 che ci stiamo sbagliando. Perché se essere in 27 è veicolo di debolezza e fragilità invece che di forza, allora, vuol dire che abbiamo proprio preso un abbaglio collettivo. E non è manco questione di Orban o non Orban, perché non è che se domani Orban, per magia, non fosse mai esistito, allora non è che l’Europa sarebbe chissà quale corazzata. E anche se fosse tutta colpa di Orban: che potenza sovranazionale è una potenza che si fa bloccare dall’Ungheria? Non dalla Cina, non dagli Stati Uniti, non dall’Iran: dall’Ungheria (con tutto il rispetto eh).
Quindi, amici miei, questo è il quadro: da un lato gli Stati Uniti che se ne vanno dall’alleanza con noi e si preparano a stringere, se non proprio un’alleanza, una forte amicizia con la Russia; in mezzo l’Ucraina che si prepara a diventare un enorme bottino di guerra; dall’altro lato noi, sempre più arroccati e sempre più disperati e soli che diamo fondo a tutto quello che abbiamo per cercare di salvare il mondo che avevamo costruito e, chissà, magari pure la pelle. E che per salvare l’Europa per come la conosciamo, siamo pronti persino a disfarla.
Oggi questa newsletter compie sei anni. E il fatto che proprio oggi io mi trovi a scrivere queste righe non è esattamente quello che immaginavo sei anni fa.
Il mondo che conoscevamo è finito. Da qui ne inizia uno nuovo. E io non ho nessuna idea di che forma avrà.
In bocca al lupo a tutti.
Ci sentiamo settimana prossima.
Luciana
PS: qui sotto la solita minirassegna
Il Guardian qui dice più o meno quello che dico io. Qui, invece, lo fa Charle Magne, la newsletter dell’Economist dedicata all’Europa.
Mentre qui, il Financial Times, prova a capirci qualcosa.
Qui Le Monde fa un riassuntone di tre anni di guerra in Ucraina. Lo stesso fa Repubblica, qui: https://www.repubblica.it/esteri/2025/02/23/news/anniversario_guerra_ucraina_russia_24_febbraio_2022-424021507/?ref=RHLF-BG-P4-S1-T1
Intanto oggi si vota in Germania: i seggi chiuderanno alle 18 (la civiltà!): se vi serve un ripasso, lo trovate su Politico; se vi serve un articolo bello lo trovate su Frankfurter Allegemeine Zeitung; se vi serve qualche analisi, invece, vi consiglio DW.
In generale, per le cose tedesche, leggete gli articoli di Tonia Mastrobuoni, su Repubblica.
Come questo, che sembra un film: https://www.repubblica.it/esteri/2025/02/19/news/germania_bassa_sassonia_volkisch_villaggi_neonazi_reportage-424012906/.
Parlando di cose più leggere (e più belle, in ogni senso) qui BBC ha scritto un bellissimo pezzo sugli anni ‘90. Che mi mancano tantissimo, così come mi manca la me che li abitava, quegli anni. E per parlare di quel decennio lontano, ha scelto di partire, non a caso da una incredibile foto di Kate Moss.
posso solo aggiungere, da cattolica, come ha detto benissimo l'inviato RAI Giammarco Sicuro, sui Social: "non mi sento pronto a un mondo senza Francesco". Non bastava il sovvertimento dell'ordine mondiale che hai delineato benissimo (e con grande realismo, purtroppo..), non bastavano i rigurgiti dei nazionalismi e il rinnovato vigore delle destre estreme in Europa e nel mondo, non bastavano le spudorate fake news che distorcono le verità più lampanti...Ci manca al Vaticano un Pontefice dell'ala più conservativa e il cerchio si chiude.. Mala tempora currunt